#5 – Pausa pranzo da Tiffany

Urban love stories inspired by reality

Pausa pranzo di un inverno freddo sotto tanti, tutti gli aspetti. Mani in tasca (i guanti li dimentico costantemente a casa), il viso avvolto in uno sciarpone, mi mimetizzo tra le migliaia di persone che si aggirano freneticamente nella City all’ora di pranzo.

Mi rifugio nel Royal Exchange, guardo qualche vetrina – mi dico – così magari la quantità imbarazzante di addobbi strabordanti da ogni superficie, addobberà un po’ anche la mia anima e le imporrà di rendersi conto che tra quindici giorni esatti è Natale.

Ben dissimile da Audrey Hepburn (per fattezze e stile), mi insinuo con nonchalance dentro i locali di Tiffany’s dove il personale sembra impazzito in un valzer frenetico di clienti che si susseguono, disciplinati dal doorman che gestisce le file degli arrivi e delle attese; le vetrine sono anch’esse occupate tanto che non c’è modo di guardare nulla.

Alla faccia della crisi. Alla faccia della Brexit. Alla faccia mia.

A nessuno sembra importare nulla di ciò che accade nel mondo fuori da lì, tutti sono indaffarati a scegliere il regalo giusto, perfino il colore del nastro da mettere sul pacchetto…ed io mi lascio trasportare in uno stato catatonico da questa danza turbolenta di dita che indicano, chiavi che aprono le casseforti, pos che suggellano acquisti e proposte di matrimonio, voci che si augurano buone feste senza conoscersi.

Vago osservante in religioso silenzio, a distanza da tutto e da tutti. E’ come se stessi guardando un telefilm, una puntata di una serie tv qualunque e posso scegliere i miei personaggi.

In particolare lui.
Poco meno di mezza età, alto nella media (ma bassino per essere un uomo), capelli chiari che si stanno lasciando brizzolare, aspetto dimesso ma non troppo, assenza di cravatta, mani in tasca a metà tra l’impacciato, l’indifferente o semplicemente quello che non vuole sporcare i vetri cristallini indicando l’oggetto a cui è interessato. 

Mi fermo ad osservarlo a debita distanza, senza che lui se ne accorga. Vediamo cosa sceglie, mi dico.

Ed ecco che vedo la commessa tirare fuori dalla vetrina chiusa a settecento mandate un cuore scintillante di brillanti e porgerlo davanti all’uomo misterioso.

Wow. 

Lui guarda senza scomporsi come se fosse dal panettiere e stesse scegliendo se prendere il pane integrale o la baguette ai cinque cereali. E dice ok. Che gli piace. Chiede il prezzo. E’ ovviamente a quattro cifre, ma lui non si scompone neanche in quel caso.

La commessa incarta. Lui paga con carta e ringrazia. Saluta ed esce, sgualcito nel suo Barbour sbottonato per fare più spazio al suo cuore che batte nel petto ed a quello che ha in tasca, in un pacchetto, da donare alla persona che ama.

Perché regalare un cuore non è mai banale: significa tanto, significa tutto. E cerco di immaginarmi cosa l’uomo abbia scritto nel biglietto d’auguri che ha messo nel sacchetto blu.

E il biglietto diceva più o meno così:

Ti regalo un cuore che brilla, il mio, perché tu possa metterlo al collo, perché ogni uomo che ti vedrà passeggiare sappia che te l’ho regalato io come segno visibile di noi e che non hai posto per indossarne un altro. 

Ti regalo un cuore perché non tutti ne sono capaci. Ma io sì. E volevo dimostrartelo. 

Ti regalo un cuore e non una stella o una mezza luna, perché tu non brilli solo di notte, ma in ogni momento della mia vita in quanto ne sei la funzione vitale. 

Ti regalo un cuore e non uno smartphone perché non ho bisogno di chiamarti per sentirti vicino.  

Ti regalo un cuore e non un computer perché con te non ho mai fatto calcoli, mi sono dato e basta. 

Ti regalo un cuore e non un viaggio perché tu sei il posto più bello del mondo. 

Ti regalo un cuore e non un vestito perché così mi stai già indossando.

Ti regalo un cuoree tutto quello che ho potuto metterci dentro. 

Buon Natale, amore mio.  

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2 commenti

  1. grazie per questovuote che e ” testimone di una cosa unica L’amore grazie a chi lo ha scritto grazie a questo uomo se esiste io credo sia stata una donna a scrivere

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