Diane Keaton: Athena a Manhattan – epitaffio di una dea

Quando penso a Diane, la prima cosa che mi viene in mente è il caschetto biondo a contorno del sorriso sornione e la sensazione di benessere che mi dava guardarla, il sentirmi a mio agio come in compagnia di qualcuno che conosco bene.

Dei film, del suo essere musa-di e anticonvenzionale si è già detto e scritto in questi giorni. È tutto un Diane-qui, Diane-là, come se improvvisamente il mondo si fosse accorto di lei. Di nuovo.

Provo a descriverla per quello che mi suscita la sua umanità: semplice, poco truccata, autoironica, americana, antidiva; lo stereotipo dell’anti-stereotipo. Di una grazia composta, di una presenza mai eccessiva. Sguardo intelligente, duttilità attoriale, irresistibilmente goffa, protagonista travestita da personaggio minore, portatrice di una leggerezza a tratti malinconica, sicura di sé, libera. Una combinazione mai prima, né dopo di lei, presente in natura: una figura mitologica dei tempi moderni.

E allora mi sono chiesta: che dea sarebbe Diane Keaton?

Atena a Manhattan

La dea che rideva del suo destino.Il cappello al posto dell’elmo, il completo maschile al posto dell’armatura, l’ironia come forma di intelletto, l’indipendenza. Atena è la dea che nasce già adulta, armata, senza madre. Come Keaton, non è mai figlia di nessuno, ma si crea da sola. Nella Hollywood patinata delle bellone protagoniste di storie d’amore romantiche, Diane rompe gli schemi, arriva inaspettatamente, disorienta e conquista. Costruisce un nuovo modo di fare cinema in cui – per la prima volta – non è l’attore che si modella sul personaggio, ma l’esatto contrario.

La Persefone che sceglie di restare nell’ombra.

Keaton ha fatto della riservatezza la sua cifra stilistica: mentre tutti correvano incontro alle luci della ribalta, lei le rifuggiva, stabilendo un confine invalicabile tra il “giardino segreto” della sua libertà e ciò che sceglieva di condividere con il mondo.

Afrodite disordinata.

La forza di Diane è stata il suo rimanere sempre straordinariamente umana, il che l’ha resa imperfetta e inadatta agli occhi di Hollywood. Il guardaroba originale e “dissonante” rispetto agli schemi, il corpo che non ha mai voluto essere oggetto ma presenza, l’accettazione serena e consapevole delle rughe e della vecchiaia come un rinnovato momento di scoperta; il caos affettivo dei suoi personaggi, mai femme fatale ma sempre di spessore.

Ecate di Beverly Hills.

La dea delle transizioni, sempre a metà tra commedia e dramma, giovinezza e vecchiaia, pubblico e privato, femminile e androgino. Mi ricorda molto anche Nora Ephron, maestra indiscussa del tragicomico: meno schiva, forse, ma di eguale intelligenza e guizzo.

Ecco, per me è lei: Diatona, dea dell’ironia e del disincanto, patrona delle donne che scelgono di non sposarsi, dei cappelli a falda sproporzionati, del caschetto liscio e del dolcevita bianco, patrona della consapevolezza con le rughe e senza fondotinta.

Nel tempo dei falsi dèi, lei rifiuta il trucco e il botox.
Quando la fama chiede un sacrificio, lei risponde con una battuta.

Attrice, regista, fotografa, scrittrice, madre, musa – ma soprattutto donna.

E per sempre. Diane.

©Londranomala 2025

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