Siamo sopravvissuti, meno stancamente del solito, alla prima serata del 75° Festival di Sanremo, il quarto firmato Carlo Conti che si trova a sfidare la difficile eredità lasciata da Amadeus in termini di critica e ascolti.
Parte bene la sigla ufficiale intitolata “Tutta l’Italia“, scritta e prodotta da Gabry Ponte. Il brano fonde sonorità elettroniche con strumenti tradizionali italiani come mandolino, fisarmonica e tamburello, creando un mix di folklore e musica elettronica. Il testo celebra la cultura italiana con immagini ironiche e spensierate, mentre il ritmo incalzante lo rende perfetto per diventare un tormentone. Sui social, la canzone è già virale con coreografie e balletti dedicati.
Meno coinvolgente, sin dalle prime battute, la conduzione: si capisce che sarà uno spettacolo (ma poco c’è di spettacolare) ordinario e mai sopra le righe. Non ci sono imprevisti, tutto scorre secondo una scaletta serrata che viene rispettata fin troppo alla lettera.
Anche la scelta dei co-conduttori, la signora dei fornelli Antonellona Clerici (meno meringa del solito) ed il bonario Mr Quiz Gerry Scotti sanno di casa e famiglia, sono professionali e rassicuranti, senza guizzi, senza infamia e senza lode.
Così scorre la serata, normale. Conti è stato infatti definito il “normalizzatore”, uno che sa mantenere gli equilibri e schivare i colpi di scena.
La scelta delle canzoni si è rivelata in linea con il tono generale della manifestazione: un elettrocardiogramma quasi piatto, con qualche rara eccezione che, ieri sera, si è tradotta nelle prime cinque posizioni (in ordine sparso) secondo la giuria degli esperti: Lucio Corsi, Brunori, Achille Lauro, Cristicchi e Giorgia.
La piattezza musicale è in parte da attribuire al monopolio autorale che genera un prodotto complessivo piuttosto omogeneo: la direzione artistica Conti ha infatti selezionato – forse per deformazione professionale – I Soliti (Ig)noti autori: prima tra tutti Federica Abbate, presente con sette brani, seguita da Davide Simonetta con cinque, Petrella, Cripo e Jacopo Ettorre con quattro, Blanco, Faraone, Michelangelo e Zef a parimerito con tre e infine Paolo Antonacci e Shablo con due.
In numeri: su ventinove pezzi in gara, undici autori hanno firmato piu di una canzone.
Di spettacolare c’è stato solo Jovanotti che si è “sbattuto” per inventarsi qualcosa di originale, qualcosa che – come lui stesso ha detto – non era mai stato fatto: la performance con i Rocking 1000, un progetto musicale unico fondato nel 2015 in Italia che unisce migliaia di musicisti amatoriali e professionisti per eseguire brani famosi, soprattutto del rock, in grandi formazioni. Ieri sera le strade di Sanremo erano disseminate da più di mille di questi musicisti che hanno accompagnato Lorenzo sul ritmo tribale de L’Ombelico Del Mondo. L’atmosfera era quella di una festa di paese di dimensioni stratosferiche, Sanremo trasformato in un gigantesco villaggio vacanze, un palazzetto dello sport a cielo aperto con file ordinate di batteristi come ai banchi dell’esame di maturità nella palestra della scuola, mentre lui, un forsennato cinquantottenne imprigionato nel corpo di un diciottenne, saltellava pazzo di gioia vestito in smoking gold, da una parte all’altra della città prima e poi in teatro, dove attempate signore fresche di messa in piega si strappavano i capelli e gli si gettavano addosso che sembrava uno di quei video della prima volta dei Beatles in America, quando le ragazze piangevano e poi cadevano in terra svenute per l’emozione. Il delirio – finalmente!
Il contrasto tra Lorenzo-bionico e Carletto-di-legno è palese.
Di legno è pure Gimbo Tamberi che si muove impacciato dove non si sono asticelle da saltare e preferisce di gran lunga fissare il gobbo che la telecamera. Ci dispiace che ricomincerà a digiunare da ora fino al 2028, speriamo almeno che ne valga la pena e gli vada meglio dell’ultima volta!
Bello il nuovo singolo di Lorenzo scritto con Dardust che lo accompagna al pianoforte – peccato che non sia in gara! Il brano si chiama “Un Mondo a parte”, la scrittura procede per immagini semplici ma dense che trasformano il quotidiano collettivo in poesia. L’intonazione è un dettaglio ma se sei Jova, non serve.
Non si può dire lo stesso se ti chiami Sarah Toscano ex-Amici: mi ha fatto tanta tenerezza per i suoi diciannove anni e anche un po’ pena per il modo in cui è stata totalmente schiacciata dall’eccesso di “personaggietà” che hanno voluto creare: un minestrone tra Angelina, Annalisa (evidentemente senza le doti vocali di nessuna delle due) e Sailor Moon.
Lei era smarrita (e chi non lo sarebbe stato?) e sicuramente fuori fuoco e fuori nota.
Più maturo il personaggio di Elodie che nelle movenze – e solo in quelle – si sforzava di imitare Mina e che per una volta ha rinunciato a fare la lotta al patriarcato (era vestita, cavolo!).
Non ho capito Serena Brancale. Forse un’occasione sprecata.
Noemi ci ha messo troppa voce ma non c’era abbastanza pezzo (nonostante la firma di alcuni degli Hit-Men di cui sopra).
Giorgia ha cantato in maniera mirabile un pezzo non all’altezza della sua performance, a tratti scritto col rimario (luna-cura-paura), un po’ troppo simile nella melodia a La notte dei miracoli di Lucio Dalla.
Rose Villain era centrata con piena coerenza stilistica ed interpretativa tra pezzo, performance e look. Una sirena rock.
Joan Thiele una piacevole sorpresa di voce, intonazione e personalità.
Francesca Michielin porta un bel brano dal ritornello potente anche se ieri sera aveva un po’ il fiato corto.
Marcella Bella: tanta stima per il coraggio e la permanente.
Gaia: solo una performance mooolto eurovisionaria.
Clara eterea nel look – non ricordo altro.
Quanto al parterre maschile, Rkomi e Olly sembravano due tronisti di Uomini e Donne. Anonimo il brano del primo, orecchiabile quello del secondo con il tocco della erre moscia e quel titolo che è un attimo a confondersi con Albano, ma qui la Nostalgia è Balorda e non Canaglia.
Bresh: il timbro c’è, la canzone pure.
Tony Effe, il cattivo ragazzo, si è presentato in versione bonificata, dopo un lavaggio con Omino Bianco Super, purificato e detatuaggiato per l’occasione. Il figlio del Padrino vestito da prima comunione con un pezzo che con lui non c’entra niente :“Damme ‘na mano”…e fa bene a chiedere aiuto. Una rugantineria fuori posto che non è stata proprio una genialata.
Irama, napoleonico nel suo outfit scelto da FMDA (Fabio Maria D’Amato, ex nano da giardino di Chiara Ferragni), sforza sempre troppo anche dove non serve.
Elegante, nel brano, nel look e nella performance Achille Lauro. Il testo ha un che di sacro, sarà l’incipit che ricorda l’Ave Maria di Schubert.
Ecumenico e superato Massimo Ranieri. Ci sono le firme di Tiziano Ferro e Nek, le note da urlatore. Onore alla carriera, ma niente di nuovo.
Gabbani debole, innocuo e sacrificato in un mondo che non è il suo.
Bravissimo Brunori, che fa rima (nella voce e nella scrittura) con De Gregori.
Sorprendente Lucio Corsi: originale, intenso, semplice e diretto, canta per immagini e raccoglie un’eredità che fa pensare a Rino Gaetano e Ivan Graziani. Bello il pezzo, il testo, l’arrangiamento, fresco all’ascolto. Per niente intimorito dal palco, sicuro e consapevole: “volevo essere un duro, però non sono nessuno, non sono altro che Lucio” – il messaggio sta tutto qui.
Troppo triste Fedez, fuori luogo, non era quella la sede.
Intenso Cristicchi, ma l’emozione prende il sopravvento.
Coma-Cose giocano a fare i social-tecno-Ricchi e Poveri. Successo assicurato anche se hanno abbassato la loro asticella.
I Modà: rumorosi.
The Kolors continuano a tormentare con i tormentoni.
Rocco Hunt, Willie Peyote, Shablo & Friends: è un boh collettivo.
Le pagelle complete sulla pagina Instagram @londranomala
Insomma, tanta roba, non dal punto di vista qualitativo ma solo della quantità. Se ne potevano eliminare almeno quindici – leggo sui social – ma poi come avremmo fatto a fare l’una di notte?
Perché Sanremo è prima di tutto un appuntamento nazional-popolare, una tradizione che ci deve tenere incollati alla TV fino all’alba (tra prima festival, festival e dopo festival) per cinque giorni all’anno, una guerra a colpi di share e auditel con chi c’era prima e chi verrà dopo (ieri sera infatti pensavo: chissà Amadeus&Giovanna (entità unica e indivisibile, pure nell’apparizione a C’è Posta per Te) sul divano di casa a fare gli scongiuri del tipo occhio malocchio prezzemolo e finocchio mentre puntano gli spilli in una pratica voodoo sulla faccia di un mini Carletto di pezza).
Stasera ne vedremo ancora delle belle e delle brutte, e poi ne parleremo tra di noi in gruppi whsatsapp creati per l’occasione, telefonate, ne scriveremo sui social e sui blog, ne leggeremo sui giornali, ci improvviseremo tutti critici musicali, direttori artistici mancati, presentatori in nuce, massmediologi, esperti di televisione perché il Festival di Sanremo è la trasfigurazione di un Paese che mette “pausa” sul telecomando di tutto ciò che accade intorno, spegnendo tutti gli altri canali ed accalcandosi in una piazza virtuale in cui ognuno sente di avere titolo per dire la sua.
Come dice la sigla Tutta l’Italia, Tutta l’Italia, Tutta l’Italià!
Ci vediamo stasera. Perché Sanremo è Sanremo. Ta-ra-tàààààààà
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