Maria di Pablo Larraín non è solo un film sulla Callas: è un racconto sulla natura indissolubile tra Maria e il suo alter ego, La Divina, e su come l’una sia rimasta vittima dell’altra. E’ la storia di una donna che si dissolve nel personaggio fino a morire, letteralmente, quando quel personaggio viene meno.
Maria è una figura dilaniata dal conflitto tra ciò che è e la necessità di rappresentare qualcosa agli occhi del mondo, incapace di trovare forza, coraggio o persino voce lontano dal suo palco e dal suo grande amore. In una scena emblematica, un barista le chiede: “Madame, vuole un caffè?”; Maria risponde con una frase che racchiude il dramma della sua esistenza: “No, voglio coraggio.”
Il film racconta anche di Onassis, che vuole Callas perché lei è La Divina, ma che la lascia quando incontra una donna più importante agli occhi del mondo (Jackie Kennedy). Onassis abbandona La Callas ma non Maria, perché, come le dice in una scena, loro due sono uguali: entrambi “Greci, Grandi e Tristi”, entrambi vittime delle loro identità pubbliche. L’uomo che aveva amato La Callas si innamora di Maria e le chiede di lasciare il palco, ma senza La Callas e quel palco, Maria non riesce a esistere. E nemmeno senza Ari. Ari è per Maria come quel palco, che lei stessa descrive come “esaltazione e intossicazione”: una fonte di vita senza la quale tutto perde senso.
Quella di Maria Callas è la storia di una donna come tante, che rinuncia a tutto per amore, fino a perdere la parte più autentica di sé. Ma non è una rinuncia passiva: è un’agonia che la consuma e la conduce lentamente alla fine.
Le intenzioni di Larraín sono ambiziose e promettenti: c’è la base per un dramma psicologico intenso e una sceneggiatura che coglie nel segno con frasi dense di significato, efficaci nel raccontare il conflitto interiore della protagonista. Tuttavia, il risultato finale si può riassumere in un playback riuscito male, come si vede letteralmente nelle scene in cui Angelina Jolie canta sulle registrazioni originali di Callas.
Nonostante la presenza di una produzione di grande rispetto, una colonna sonora che riporta la voce inimitabile della Divina e un’attrice premio Oscar nel ruolo principale, il film non raggiunge le aspettative. Si notano sviste banali: quale cantante lirica si metterebbe mai a cantare appena sveglia, di prima mattina, senza un minimo di riscaldamento della voce? E poi c’è la scelta dell’interprete: Jolie ci ha provato, si vede che ha studiato e si è impegnata, ma non era adatta al ruolo.
Nonostante il miracolo del trucco che ha cercato di ricostruire più fedelmente possibile le fattezze del personaggio, le linee, gli spigoli del viso – anche sapientemente esaltati dalla fotografia – tuttavia ciò non è bastato a riportare in vita nella pellicola gli spigoli dell’anima, la disperazione fiera dello sguardo, le fratture interiori, il dramma di una donna “rotta” che fatica a rimettere insieme i pezzi e vive nella consapevolezza che mai ce la farà.
La bellezza di Jolie è oggettiva, vellutata e rotonda, lontana dalle geometrie appuntite del viso di Callas, che sembravano ritagliarsi con forza un posto nel mondo. Non è solo una questione estetica: anche la recitazione risulta passiva e monocorde, senza sussulti. Manca la fierezza, la complessità, il dramma del melodramma che avrebbero dovuto caratterizzare Maria. Non bastano i magnifici costumi di scena e la riproduzione delle celebri apparizioni teatrali della Divina per ricrearne la presenza. Il contrasto è particolarmente evidente nelle scene in cui si ascolta la voce originale della Callas: la potenza e la consistenza tridimensionale del timbro cozzano con un’immagine eterea, quasi botticelliana, che non riesce a sostenere quella voce e quel temperamento. Forse un’interprete come Lady Gaga, con la sua affinità artistico-musicale e il carisma complesso, sarebbe stata più adatta.
La Maria di Jolie è silenziosa, contenuta, persino annoiata in alcune scene. Si avverte la mancanza di quella Maria che dovrebbe fare rumore, urlare la sua disperazione. Paradossalmente, i titoli di coda, con i filmati originali della vera Callas, risultano più emozionanti di molte scene del film. Jolie interpreta una Callas a tratti ammiccante, a tratti spenta, senza mai trasmettere il pugno nello stomaco che ci si aspetterebbe da un personaggio così complesso.
Di grande impatto, invece, le interpretazioni di Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher, rispettivamente nel ruolo del maggiordomo Ferruccio e della cameriera Bruna. Entrambi danno voce e volto all’intimità profonda e all’affetto intenso, ma discreto, che avevano nei confronti della loro Madame. Con rispetto e dedizione, costituiscono per Maria una famiglia: forse l’unica che abbia mai avuto davvero. Sarebbe stato interessante dar loro più spazio, per arricchire ulteriormente la narrazione.
In definitiva, Maria è un’impresa ardua e merita di essere visto per gli spunti di riflessione che offre. Tuttavia, il risultato finale lascia insoddisfatti: meglio allora tornare al vinile di Casta Diva, dove la vera voce della Callas continua a vivere, autentica e immortale. Perché il karaoke è un’altra cosa.
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