In principio fu Martha Stewart, poi nacquero i social media.
Nell’oceano sconfinato di Netflix in un dopocena autunnale, il telecomando si è fermato sull’icona di un documentario aggiunto di recente: Martha, protagonista Martha Stewart, icona americana del lifestyle ed imprenditrice di grande successo soprattutto tra i primi anni Novanta ed il Duemila, a capo di un impero mediatico costruito sul ménage domestico, il bon ton, il fai da te.
Ma Martha è stata soprattutto un’antesignana del concetto di influencer, la prima vera content creator, una presenza, un marchio da dieci milioni di lettori, telespettatori televisivi, una leader di successo, il cui prodotto principale era sé stessa, quando ancora mancavano quasi trent’anni alla diffusione dei social media.
Nata negli anni Quaranta a Jersey City da una famiglia di origini polacche, questa ragazza bionda dai bei lineamenti, si è subito data da fare, inizialmente lavorando come modella, poi riuscendo ad accedere un college prestigioso in cui, attraverso una compagna, ha avuto modo di conoscere il futuro marito Andy Stewart, figlio di un broker di Wall Street. Proprio al suocero Martha si è rivolta quando, appena ventenne, ha deciso di intraprendere una carriera in finanza per fuggire da quelle mura domestiche che le stavano così strette per buttarsi in un mondo, allora come oggi, per soli uomini in cui, tuttavia, lei ce l’ha fatta. Un vero e proprio paradosso dal momento che proprio grazie alla sua intuizione basata su una diversa concezione del ruolo domestico della donna, ha poi edificato la sua fortuna.
Benché i contenuti prodotti da Stewart in forma di libri, trasmissioni televisive, video, avessero infatti ad oggetto attività apparentemente casalinghe (come apparecchiare la tavola, come decorare la casa per Natale, come organizzare un matrimonio alla perfezione, come curare il giardino), in realtà la sua geniale intuizione è stata quella di elevare il ruolo della casalinga attribuendogli una luce nuova, distanziandosi dalla concezione della donna americana degli anni Cinquanta, tutta casa e famiglia, mero strumento di appendice funzionale al prestigio del marito.
Stewart si è piuttosto presentata come una casalinga 2.0, un modello di perfezione, una che sa come si fa in ogni circostanza ed è disposta ad insegnarlo a chi la legge, la guarda, la segue, una sorta di , così da acquisire autorevolezza (senza mostrarsi – almeno al grande pubblico – autoritaria) ma piuttosto presentandosi come l’amica che è un’autorità nel campo.
La sua intuizione più grande è stata fare di se stessa e del proprio successo l’oggetto del suo brand mettendoci la faccia (cosa che nessuno aveva fatto fino ad allora), condividendo il proprio quotidiano, la propria casa, pezzi di vita con la propria famiglia, proponendosi come il modello della donna della porta accanto che è riuscita a realizzarsi e può insegnare anche alle altre come si fa: spiegandolo, mostrandolo, addirittura vendendo gli stessi prodotti che usa lei e costruendo cosi un modello di infallibile perfezione che, come il suono del pifferaio magico, ha attirato milioni di altre donne insoddisfatte delle proprie vite le quali hanno deciso di “seguirla” con l’illusione di poter diventare come lei. Invece di scappare da ciò che rendeva la casalinga costretta alla frustrazione delle mura di casa e bandita dai tavoli del potere a cui soltanto gli uomini potevano accedere, ha elevato la dignità dei lavori domestici monetizzandone il potenziale e facendone un nuovo strumento di potere accessibile a chiunque.
Stewart è stata artefice della propria fortuna raggiungendo dei risultati che probabilmente neppure lei prevedeva. Quando la sua società è stata quotata a Wall Street, nell’ottobre del 1999, in qualche modo è come se in quel momento Martha avesse venduto al pubblico quote di sé stessa poiché il prodotto reale e finale del suo brand era la sua immagine pubblica, il suo successo, la sua reputazione, con tutti i rischi del caso. Come spiegava Joan Didion in un articolo pubblicato sul New Yorker nel febbraio del 2000, il significato culturale del successo di Martha Stewart sta in esso stesso: ha brandizzato se stessa non come Superdonna ma come Ognidonna, trovando il suo seguito nelle donne insoddisfatte della propria vita e riuscendo ad elevare a strumento di potere quello stesso ruolo di casalinga che, da fonte primaria di insoddisfazione, l’aveva portata a sedere al tavolo degli uomini pur facendo un lavoro da donna, ed anche ad arrivare dove molti di essi non sarebbero mai riusciti. L’immagine non era di una docile femminilità domestica ma piuttosto di potere al femminile, un mostrare agli uomini come si fa.
Come sempre, tuttavia, il successo presuppone una componente imprescindibile di ossessione: Martha era una perfezionista, una maniaca del controllo e, per quanto si sforzasse di fondere la persona nel personaggio, l’incantesimo non aveva funzionato in quanto la sua vita perfetta era tutt’altro che tale. Come madre si autodefiniva a tratti anaffettiva, il suo matrimonio era fallito, a dimostrazione del fatto che c’è un prezzo da pagare per il successo. In una delle interviste del documentario Netflix, Stewart riferisce che le sue intuizioni più fortunate sono scaturite dalla ricerca dei vuoti e dal volerli colmare. Sembra dunque plausibile che questa sua ossessione per il modello di perfezione e di successo fosse da ricercare probabilmente nella necessità di colmare un vuoto affettivo che si portava dall’infanzia, dal tempo trascorso in quella sua famiglia d’origine così tanto laboriosa e pratica, ma poco incline a mostrare i sentimenti o perfino a curarsene. E proprio per questo – o forse nonostante questo – Martha ce l’ha fatta.
Ad una donna, tuttavia – e lo dico purtroppo senza retorica – si perdona tutto, tranne il successo. Non solo se si è uomini, ma anche se si è donne come lei. Così nel 2012 veniva indagata per presunto insider trading in una nota vicenda giudiziaria americana (lo scandalo ImClone), per poi essere condannata non per l’accusa originale, ma solo per la copertura che ne derivò. In altre parole, quando l’accusa primaria di insider trading si rivelò infondata, Stewart fu perseguita per una sorta di non-reato, qualcosa dai contorni non chiarissimi, quasi che l’obiettivo fosse trovare un motivo per condannarla a tutti i costi al fine di soddisfare il piacere che la gente trovava nell’odiarla, nel vederla soccombere, nel vedere quel suo modello di perfezione sgretolarsi altrettanto pubblicamente. Più che una caccia alle streghe come si dice nel documentario fu una caccia alla stronza, perché Martha nella realtà del suo lavoro era cosi: una che urlava, una che doveva avere tutto sotto controllo, una che sapeva essere molto rude con i propri collaboratori, tutti attributi che fanno un uomo tale ma che non sono concepibili per una donna. La sua performance aveva finalmente vacillato, la sua immagine ne era uscita danneggiata, distrutta e anche questo aveva fatto spettacolo. Un po’ come è successo in Italia con Chiara Ferragni durante la vicenda del Pandoro Gate.
A prescindere dal fatto che Ferragni possa o meno piacere, ciò che ha sbalordito è stato il repentino cambio di rotta del pubblico dei seguaci: gli stessi che a milioni ne imitavano lo stile, acquistavano i prodotti e la consideravano quasi una monarca senza titolo, si sono scagliati contro di lei senza appello; e fatico a pensare che tutti fossero animati da reale sdegno verso lo sfruttamento della falsa beneficenza o autenticamente mossi da istanze solidali: sembra alquanto più probabile che in realtà il popolo dei sudditi del web godesse intimamente del declino di un successo planetario raggiunto col minimo sforzo, non tollerasse più l’ostentazione di un tenore di vita milionario fatto di vacanze di lusso, abiti da sogno, gioielli da centinaia di migliaia di euro. Tutto ciò per cui Ferragni era seguita, il suo brand fatto da se stessa, era improvvisamente diventato, da un giorno all’altro, motivo di sdegno, odio, commenti feroci al punto da indurla a silenziare il proprio mezzo di lavoro: i social media.
Due considerazioni: 1) l’acume di Stewart, la cazzimma, l’ingegnosità, la determinazione, la competenza, la capacità di (re)inventarsi (fino a trarre beneficio in termini di idee e rinnovamento capitalizzando anche sull’esperienza dei cinque mesi trascorsi in carcere), Ferragni non li ha. È piuttosto una Barbie fortunata che ha avuto (o chi per lei) l’intuizione di capire il potenziale dei social media quando la maggior parte di noi a mala pena aveva un profilo Facebook. Ferragni era piuttosto infantile nel suo . Stewart si dava da fare.
C’è, in Stewart, una sorta di nobiltà del fare e del farsi da sola che giustifica il suo titolo di imprenditrice mediatica, la prima nella storia e l’unica a quel livello. Ferragni che si autodefinisce imprenditrice digitale al confronto sembrerebbe un po’ una forzatura. 2) D’altro canto, Stewart non è stata esposta all’attacco senza appello dei social media in cui tutti sono opinionisti e odiatori di professione ma senza alcun titolo. Entrambe hanno avuto in comune quel destino di successo che, dapprima esaltato dal pubblico, da quello stesso pubblico non è stato loro perdonato secondo un rinnovato modello di sovranità popolare dal significato tutto apolitico: è il potere indiscriminato delle masse senza nome, del popolo affamato che prima osanna al passaggio del re e poi fa scoppiare la rivoluzione e porta Maria Antonietta di Francia (l’influencer del diciottesimo secolo) alla ghigliottina.
Martha Stewart è una donna del nostro tempo che, però, lo ha anticipato, previsto, ha contribuito a determinarne le dinamiche e che anche ora, a 83 anni, ha un profilo Instagram di quasi 6 milioni di followers oltre ad una considerevole e varigata presenza mediatica. Un genio? Uno squalo (come qualcuno l’ha definita)? Una ossessionata dal successo? Forse tutte queste cose insieme, forse soltanto una donna, una che ha avuto l’illuminazione di costituire una società che ha chiamato Martha Stewart Living Omnimedia e questo, credo, racchiuda tutto il suo senso: Living – Vivere.
La forza ed il successo di Martha Stewart risiedono nel suo vivere a 360 gradi una vita che è fatta di successi, insuccessi, amori, abbandoni, gioie, dolori, cadute, risalite, una donna che ha capito come reinventarsi in un mondo in continuo cambiamento, anticipando le sfide di un futuro che, pur ancora sconosciuto, ha contribuito a definire
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