Balleremo la musica che suonano: Fabio Volo si racconta a Londra – un viaggio tra libri, vita e crescita personale

Né dolcezza di figlio, né la pieta

del vecchio padre, né ‘l debito amore

lo qual dovea Penelopè far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardore

ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto

e de li vizi umani e del valore

(Divina Commedia, Infermo, Canto XXVI (vv. 94-99))

Giovedì sera a Londra, nella cornice della Sial (Scuola Italiana), Fabio Volo ha presentato il suo ultimo libro Balleremo la musica che suonano (Mondadori).

Un evento sold-out da mesi, magistralmente moderato da Ornella Tarantola, storia libraia e figura di riferimento del panorama culturale italiano a Londra. La conversazione, sapientemente orchestrata, è riuscita a fondere leggerezza e profondità alternando momenti di scanzonata ironia a riflessioni intime ed esistenziali, come le note di una musica jazz che si sviluppa in modo imprevedibile.

Il libro è, innanzitutto, una storia d’amore: per i libri, per il padre e per la sua famiglia. Ma è anche una narrazione di crescita, non un’autobiografia, bensì una riflessione su come si diventa grandi. Un viaggio che inizia con i libri, strumenti che accompagnano il protagonista alla scoperta di sé, di quella forza invisibile che spinge a cambiare e ad abbandonare la zona di comfort per cercare qualcosa di sconosciuto, che però è parte del nostro essere più profondo.

Volo, che passa dal bresciano stretto a citazioni estemporanee della Divina Commedia, si rivela al pubblico in una veste inedita, mettendosi a nudo nella sua semplicità profonda che è poi la cifra stilistica del suo personaggio a trecentosessanta gradi. Dietro l’aria finto-scanzonata del ragazzotto bresciano che ce l’ha fatta si nasconde un uomo di cinquantadue anni che, a questo punto della sua vita, ha sentito il bisogno di raccontare il suo viaggio. Come un Ulisse moderno, è stato spinto dall’inquietudine verso un “altrove”, lontano dalla sua zona di sicurezza, perché si sentiva scomodo ai blocchi di partenza.

Il libro nasce come una testimonianza su diversi livelli: sull’importanza universale dei libri, sull’amore incondizionato, sull’adattamento alla vita e sulla consapevolezza di un disegno superiore, come afferma Dante: “Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa simigliante” (Divina Commedia, Paradiso, Canto I, vv. 103-105), citato dallo stesso Volo.

Il racconto parte dal Fabio bambino, cresciuto nel pragmatismo dei lavoratori bresciani che si rivelerà essere così distante da quel concetto astratto di sentire, più volte ricorrente nella conversazione. La sua famiglia, un nucleo solido di affetto, gli offre una libertà autentica che lo spinge a diventare un uomo responsabile, capace di guardare oltre il consueto. I suoi genitori si fidano di lui da sempre, fin da quando, bambino, dice di non voler andare all’asilo e poi ancora, a quattordici anni, decide di lasciare la scuola per mettersi a lavorare perché è lì che si sente utile, accanto a suo padre in panificio, ogni mattina alle 4. Questo gli consente di crescere senza alcun condizionamento né gruppo di appartenenza: prima come un bambino e poi come un ragazzo tra gli adulti, lontano dalle masse dei coetanei che conducono esistenze convenzionali fatte di primi amori ed esami universitari, mentre lui si sente sempre più spesso fuori luogo. Proprio questa mancanza di condizionamenti, questa assenza di “tifoseria”, gli permettono di sviluppare una visione lucida della vita lontano dalle aspettative e dalle pressioni sociali.

La vera svolta, però, arriva quando Fabio entra in contatto con i libri (grazie a Silvano Agosti). I libri, inizialmente visti come un mezzo di fuga, diventano il motore della sua trasformazione, spingendolo a fare un salto nel vuoto: lasciare tutto ciò che è conosciuto per affrontare l’ignoto. Partendo dalla panetteria di Brescia, passando a fare il pianobar nei locali e a scrivere col rimario una canzone dal titolo appunto “Volo” (da cui l’autore prenderà il suo nome d’arte) che porterà all’incontro con Cecchetto, per poi ritrovarsi a fare il lavapiatti a Londra e dormire sui materassini per strada a New York: Volo racconta con autoironia e leggerezza anche le difficoltà che ha affrontato, rendendo la sua esperienza universale. La sua storia parla di un uomo “qualsiasi” che diventa un eroe moderno grazie al suo percorso, simile a quello di figure leggendarie come Ulisse e Dante.

Attraverso i libri, Volo ha ritrovato se stesso e anche suo padre, che non c’è più da dieci anni. La riconciliazione avviene attraverso il ricordo e l’apprezzamento della sua umanità, oltre il ruolo di genitore. Un padre che, a posteriori, Volo ha visto come una figura che, senza saperlo, possedeva la saggezza di “lasciar stare le persone, amarle per ciò che sono e, quando necessario, esserci per loro”.

Balleremo la musica che suonano è una lezione di vita appresa dal padre, un invito ad adattarsi alla situazione, a vivere senza paura ma con dignità, a non tradire sé stessi.

In quella che doveva essere una serata come tante dedicata alla promozione di un libro, Fabio Volo ha invece offerto una vera e propria psicoterapia collettiva diventando, inconsapevolmente, un life coach moderno per un pubblico in ascolto, e allo stesso tempo un aedo del ventunesimo secolo.

I libri come strumento magico di crescita, il viaggio come atto di coraggio necessario alla scoperta del vero sé, la famiglia come luogo privilegiato di una formazione basata sull’amore senza vincoli e condizioni, il padre che da eroe triste, quasi un Anchise stanco che si fa portare in spalla, viene riscoperto come colui che senza saperlo già sapeva tutto, danzatore inconsapevole di musiche sconosciute ogni volta diverse.

La meta come la scoperta di sé nell’architettura di un disegno soprannaturale che trova senso come in un libro in cui si ricompone l’ordine del mondo:

Nel suo profondo vidi che s’interna,

legato con amore in un volume,

ciò che per l’universo si squaderna.

(Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXIII, vv. 85-87).

Dalla prima canzone scritta col rimario alla fine degli anni 80, ne ha fatta di strada Volo fino ad arrivare a questo che sicuramente è il suo libro più vero: un po’ diario di viaggio ma anche romanzo di formazione in cui l’universale conosciuto attraverso i libri si fa esperienza individuale con uno stile immediato e comprensibile a tutti, e che, proprio per questo, stupisce ed impressiona per la portata del messaggio e la novità che rappresenta, rompendo senza curarsene con gli schemi di categoria letteraria, un po’ come era successo con Annie Ernaux in Memorie di ragazza.

“Cosa consiglieresti a un aspirante scrittore?” Chiede dal pubblico quella che dalla voce e dall’aspetto sembrerebbe una millennial.

Viaggiate, fate l’amore, ubriacatevi, dormite su una panchina, fate esperienze, Vivete e scrivete senza avere paura, mai per gli altri, solo per voi stessi.”

Si conclude così questo mirabolante viaggio lungo tremila anni e poco più di un’ora.

Scroscio di applausi, occhi lucidi, Volo ringrazia, la sala si svuota e il calore delle anime lentamente si dissolve nel freddo della sera di dicembre mentre il pubblico si allontana

riflettendo sul proprio viaggio. Un viaggio che, come nell’Inferno di Dante, si conclude con una nuova luce: “E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIV, v. 139).

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