Cronaca di una serata agrodolce sulle colline di Londra
Mercoledì 26 ottobre, in cima ad una collina a nord-est di Londra, la splendida cornice di Alexandra Palace ha ospitato la seconda performance londinese del tour di Paolo Nutini, cantautore italo-scozzese tornato sulla scena musicale internazionale con il suo nuovo album Last Night in the Bittersweet dopo otto anni di assenza.
Le luci di una Londra sfavillante nel buio di una sera di fine ottobre sembrano un tappeto di stelle ai piedi della splendida venue, imponente e maestosa come un museo la cui hall, per contrasto, sembra trasformata in una sorta di Borough Market in miniatura, con cibo e bevande di ogni genere i cui profumi ti si impastano nei capelli e nei vestiti, come un souvenir che ti porterai a casa.
Il concerto inizia alle 20.45, quando i maxischermi si accendono proiettando un effetto stile trasmissioni televisive interrotte, un po’ come sono stati gli ultimi otto anni dell’artista che, dopo un paio di minuti, arriva sul palco col solito aspetto un po’ trasandato e, senza troppi giri di parole, anzi senza dire niente, prende in mano il microfono e inizia a cantare. Ed è subito tutto un po’ bittersweet, un po’ agrodolce: lui, il suo modo di cantare, le sue canzoni, le nuove sonorità.
Sono lontani i tempi di New Shoes e del ragazzetto ventiseienne che cantava di scarpe nuove che gli avevano fatto tornare il buonumore.
Piuttosto, si ha immediatamente la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un uomo di trentacinque anni che racconta di un periodo difficile fatto di occhi acidi, perdite, ricordi, disperazione, echi: sono già i titoli delle canzoni a portare l’ascoltatore dentro una nuova storia.
Siamo di fronte ad un album sperimentale nei testi e negli arrangiamenti che richiamasuggestioni musicali importanti riproposte in una chiave originale e personale, anche (ma non solo) per l’unicità del timbro vocale dell’artista. L’inciso e le armonie di Petrified in Loveriportano alla freschezza di alcuni brani dei Beatles, mentre la chitarra acustica e la poetica di Writer richiamano lo stile e la scrittura di Leonard Cohen.
C’è una consapevolezza nuova, una densità intima nel modo di scrivere e di cantare, una necessità di condividere senza mai smettere di risultare vero e privato.
Last night in the Bittersweet è un album scritto per comunicare qualcosa, tanto, ma senza cercare il consenso. E’ un album scritto per se’ che, però, può diventare di tutti perché possiede quel potenziale di universalità che è tipico del dolore e dei momenti difficili.
Over my body, under my skin / i can feel you creepin’ in / i can feel you slowin’ down and movin’ around (…) And i love you, like a song / yes i love you and without you, I wander (…)and it feels like you are everywhere sometimes: sono parole intime e private, l’emozione c’è e si sente tutta nelle vibrazioni e nella potenza mai invadente della voce, trasuda dalla scrittura, dagli assoli di chitarra, si sente nelle atmosfere blues che si prestano ad un pop che però èNutini’s signature only.
Paolo imbraccia chitarre, sorseggia birra, poi si sposta lentamente alle tastiere e ai synth per tornare nuovamente alla chitarra acustica. Ci sono la calma e l’intimità del piccolo club di Soho o di Camden, quelle di una serata per pochi intimi in cui lui canta per sé ma senza maiescludere il pubblico: è una strana magia, una fusione totale che raggiunge l’apice quando parte una corale unica in A better man e Candy, due dei suoi più grandi successi.
L’artista canta le sue emozioni, canta gli ultimi otto anni, canta un’assenza (sua o di qualcun altro), canta le proprie inquietudini quasi per liberarsene, per farle più leggere, senza tuttavia creare distanza con chi ascolta. Questa fusione trova un senso compiuto in Through the Echoes, il singolo che ha fatto da apripista all’album e che ha segnato il grande ritorno dell’artista: l’eco del pubblico esprime al meglio come l’esperienza del cantautore abbia trovato risonanza in quella delle vite di chi è lì ad ascoltarlo.
Poche, pochissime parole parlate a parte quelle cantate.
<I love you Ally Pally> , e qualche <Thank You>, ma tantissima emozione.
Un massaggio per l’anima, un concerto che ti lascia con quella voragine in movimento tra pancia e cuore che non si riesce a spiegare e che, ogni volta che riascolti una canzone, te ne chiarisce sempre meglio il senso, quel sapore agrodolce di ogni nota, di ogni parola, di ogni vibrazione della voce. Il senso unico di Paolo Nutini.
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