Ebbene sì, dopo circa tre anni, Sir Covid ha preso anche me con inattesa veemenza: me lo aspettavo più discreto e meno appassionato avendo io diligentemente ricevuto tre dosi di vaccino; invece, come un amante focoso, si è dato senza riserve riducendomi un mocio vileda già a giorno zero.
Causa degenza forzata e conseguente ed altrettanto coatta lontananza da mia figlia, mi sono ritrovata ad essere bloccata in casa con inesistenti energie, fisiche ed intellettuali, per svolgere qualsivoglia attività: dal misurarmi la febbre a lavare un cucchiaino. L’unica attività che fortunatamente mi riusciva di fare era leggere (fino a quando il mal di testa non diventava così insopportabile da impedirmi di proseguire anche dopo aver ingerito la dose massima giornaliera consentita di Nurofen).
E quindi ne ho approfittato, in fondo dovevo pur arrivare alla fine della giornata e delle cinque successive. Perciò, dopo un paio di romanzi così e così, ho preso in mano un libro appena comprato: Lo faccio per me – Essere madri senza il mito del sacrificio, della dottoressa Stefania Andreoli e l’ho praticamente divorato avidamente, sottolineando, schematizzando, scrivendo post-it riassuntivi. È stato una rivelazione, il Sacro Graal, ma allo stesso tempo niente che già non sapessi, solo – per qualche strano motivo – avevo bisogno di leggere quello che già sentivo nel mio intimo, come se il fatto che qualcun altro, una professionista titolata, ne parlasse, mi facesse sentire legittimata a sentire ciò che sentivo.
Ci hanno insegnato che per essere delle brave madri dobbiamo sacrificare tutto il resto, in primis noi stesse, altrimenti non funziona. Ci hanno insegnato che dobbiamo essere sciatte, che non possiamo più avere sogni o obiettivi che non siano strettamente connessi alla crescita sana e felice di nostro figlio.
Ma nessuno ci ha mai interrogato su come possiamo crescere un essere umano felice e “sano” emotivamente se noi per prime non lo siamo, se siamo frustrate, insoddisfatte, se abbiamo smesso di piacerci, di ascoltarci, di riconoscerci, di esserci. Se non esistiamo più per noi stessi, come facciamo ad esserci per qualcun altro, qualcuno che ha assolutamente bisogno che ci siamo nella nostra interezza, totalità, nel nostro essere non solo adulti a livello anagrafico ma adulti consapevoli della propria identità, del proprio ruolo, dei propri obiettivi?
La simbiosi col bambino, l’annullamento progressivo del Sè che si identifica con il nostro piccolo, non è qualcosa che facciamo per lui ma per noi, per soddisfare un nostro bisogno di appagamento o di aggiustare qualcosa che non va, ha una sorta di funziona risarcitoria.
Ma non pensiamo mai alle conseguenze che possa avere sul bambino e sulla sua crescita il “peso” di una madre che dipende da lui, che sceglie per lui, che proietta su di lui i propri desideri incompiuti e bisogni inascoltati.
E allora il primo vero grande atto d’amore incondizonato verso di lui è l’amore verso di noi!
Io voglio che mia figlia mi veda sorridere, mi veda in carico di me stessa, sul pezzo (anche quando magari non lo sono al 100%), voglio che sappia che di me si può fidare perchè io mi prenderò cura di lei anche dicendole dei “no” che non le piaceranno. Voglio che capisca quanto io sia immensamente felice di essere sua madre! …E non lo sembrerei totalmente se avessi la ricrescita bianca dei capelli fino alle caviglie o se smettessi di suonare il pianoforte.
Voglio insegnarle che deve stare in piedi sulle sue gambe, che se cade si può rialzare, che i fallimenti sono delle occasioni per ricominciare più forti di prima, che l’indipendenza economica è fondamentale e che la borsa di Prada è meglio se riesce a comprarsela da sola piuttosto che aspettare che qualcuno gliela regali.
Voglio gridarle che da quando è arrivata lei sono una persona ancora più felice di una felicità che non si può spiegare! Ma sono sempre IO, ancora più salda e più consapevole di prima, ancora più presente a me stessa e quindi a lei.
E siccome io sono dell’idea che sono i libri a trovare e scegliere noi (e non viceversa), e così anche le serie tv, oltre al libro sopra citato, ormai sul trend del kit di sopravvivenza per madri atipiche non sacrificali, dopo profonda indecisione, le mie dita hanno indirizzato il telecomando su una serie di Netflix credo ormai anche un po’ datata, Workin’ Moms: un gruppo di mamme canadesi sui generis alle prese con figli, partner e lavori.
Su questa serie non spiffero nulla: solo raccomando fortemente di vederla perché, oltre a farvi fare tante risate, vi farà riflettere e vi porterà a farvi domande e, perché no, a trovare delle risposte che non vi aspettavate.
Adesso finalmente il Covid sta passando e oggi potrò finalmente riabbracciare mia figlia, anche se sarò conciata come Samantha Cristoforetti e girerò per casa con maschera e guanti come l’allegro chirurgo.
Intanto dal parrucchiere, ad anni 3, ieri ci è andata lei con la zia…perché le buone abitudini si imparano fin da piccole!
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