#18 – Quando il disordine rimette tutto in ordine

Sempre più spesso ci lamentiamo di cosa non va nella nostra vita: il lavoro, le relazioni, la famiglia. 

Ciò nonostante il più delle volte teniamo botta e perseveriamo nello stesso set-up per anni, a volte anche per una vita intera, senza mai porre in essere dei cambiamenti e continuando perennemente a lamentarci.

Forse bisogna che ci facciamo qualche domanda e rispondiamo con onestà: davvero ciò di cui ci lamentiamo non ci va bene? E perchè ci fa paura provare a cambiare le cose? La lamentela non è essa stessa un alibi?

Queste domande offrono degli spunti di riflessione per un confronto onesto con noi stessi e sicuramente potremmo farcene altre 1000. La chiave sta nella sincerità con cui ci poniamo di fronte ad esse.

Sento e conosco gente insoddisfatta del proprio lavoro da sempre e alla domanda <e perché non cambi?> ti risponde: <E come faccio? E cosa mi metto a fare? E se non trovo niente? Questo “posto” almeno è sicuro!>.

Già il fatto stesso di definire con la parola “posto” la propria occupazione professionale dovrebbe farci riflettere ed è una cosa molto italiana: gli inglesi o gli americani per dire ‘lavoro’ non dicono ‘place’: loro indicano come ‘workplace’ il luogo di lavoro ma non il lavoro in sé. 

La parola ‘posto’, prima di essere un sostantivo, è il participio passato del verbo ‘porre’ che significa ‘sistemare in un luogo’ o, nella sua forma riflessiva, ‘mettersi in un luogo o in una posizione, disporsi’; significati che rimandano tutti ad una immagine di staticità e non di movimento, un fermarsi, che dovrebbe essere l’ultima cosa che ci viene in mente pensando ad un percorso professionale, il quale dovrebbe essere dinamico ed in movimento.

Questa cosa del ‘posto’ e soprattutto del ‘posto fisso’ è un’idea che ci hanno inculcato i nostri nonni e poi i nostri genitori ma semplicemente non funziona, non ha mai funzionato e mai funzionerà. 

Prendiamo per esempio Coco Chanel: lei cuciva, se per paura di perdere ‘il posto’ avesse fatto la sarta per qualcun altro pur di percepire uno stipendio fisso, non avremmo mai conosciuto il suo genio. La stessa cosa vale per Steve Jobs o per Amancio Ortega che dopo aver fatto il commesso per anni, si è licenziato ed ha fondato Zara.

Questa gente è riuscita a realizzarsi appieno solo rischiando, solo ascoltando la propria voce interiore che spingeva a muoversi verso qualcos’altro, a cercare una nuova Itaca che non era necessariamente dietro la stessa scrivania o nello stesso palazzo per trent’anni.

D’altro canto però, a non provarci mai, c’è sempre l’alibi di dire: <Eh, se solo avessi potuto, avrei fatto…la ballerina>: l’alibi porta consolazione, come a rendere sempre possibile in uno spazio ed un tempo che non esistono, qualcosa che è dentro di noi ma mai si realizzerà. E rimanere col dubbio è sempre meno doloroso che fallire e meno faticoso che trovare la forza di riprovarci ogni volta.

Lo stesso vale nei sentimenti: tantissime donne e uomini rimangono impelagati in relazioni tossiche e disfunzionali che li logorano negli anni svuotandoli di sé, convinti che rimanere insieme sia la cosa giusta da fare adducendo varie (fasulle) motivazioni: <Rimaniamo insieme per i nostri figli>. Bullshit! Ma sai il danno che fai a tuo figlio costringendolo a vedere per tutta la vita due non si amano? E che cosa gli insegni, a farsi andare bene anche quello che non va bene per niente? Gli insegni la frustrazione, la delusione, la rassegnazione? Questa di certo non è la cosa giusta.

E tu? Ce l’hai una vita di riserva in cui vivere un amore vero, che ti gratifichi e ti faccia stare bene? La risposta è no. Però fai finta di niente, schiena curva, testa bassa e si va avanti.

Queste di norma le situazioni più frequenti.

Poi, quando succede finalmente qualcosa, tipo che si venga licenziati o che una relazione finisca per qualsivoglia motivo, ci si dispera perchè la verità è che ci rende in un certo qual modo tranquilli vivere in un disagio noto piuttosto che aprirci a ciò che non conosciamo.

Siamo gente che non rischia e che prende male, molto male, il cambiamento.

E se invece quelle che per noi sono delle catastrofi esterne fossero dei regali? 

Se il Fato (lo chiamo cosi per non far torto a nessuno) ci desse una mano agevolando un evolversi degli eventi che, diversamente, noi non saremmo in grado di pilotare?

Quando succedono eventi di questo tipo tendiamo a dire che ‘è successo un casino’…per dare l’idea del grado di sconvolgimento che essi generano nelle nostre vite.

Ma la realtà è un’altra: il disordine improvviso metterà un ordine che noi da soli non saremmo in grado di cercare e raggiungere.

Come un Big Bang: Caos originariamente nel greco antico significava ‘spazio beante, spazio aperto, voragine’ indicando, nella sua etimologia, una fenditura, un burrone, un abisso, il buio anteriore alla generazione del Cosmo, un sistema ordinato ed armonico, l’ordine appunto.

Se provassimo ad accogliere ogni caduta, ogni fallimento, ogni scossone, ogni casino…come un’opportunità e sfruttarla di conseguenza, forse avremo serie probabilità di ‘metterci in ordine’, di trovare il nostro ordine che non deve necessariamente coincidere con quello di altri miliardi di esseri viventi, ma sarà unico nella sua specie e nelle sue declinazioni.

Se ci pensiamo, è come fare un trasloco: la casa viene messa a soqquadro, non si capisce nulla, è tutto pieno di scatoloni, polvere, non ci si riesce più a vivere, ma è questa l’occasione per eliminare quello che non ci serve, dare via i vestiti che non indossiamo da anni o quelli che continuiamo ad indossare anche se ci segnano sui fianchi, pulire gli angoli nascosti dietro i mobili da decenni, reimbiancare le pareti…fare pace col nostro passato per poi iniziare un nuovo presente in un posto che ci rappresenta meglio e in cui sicuramente avremo collocato in maniera più efficiente gli utensili da cucina, avremo comprato un servizio di piatti coloratissimi che quelli bianchi ci hanno sempre fatto tristezza, avremo una vista mozzafiato dalla finestra (mentre prima guardavamo il cortile interno – lato immondizia), avremo i lavandini col miscelatore evitando cosi di ustionarci a 100 gradi o di ibernarci lavandoci il viso al mattino.

Facciamo ‘casino’, dentro e fuori di noi, rimbocchiamoci le maniche invece di piangerci addosso, non spaventiamoci di ammettere – a noi stessi per primi – quando qualcosa non va e ‘disordiniamoci’ nel profondo, spettiniamoci i capelli e le quotidianità malate: solo cosi potremmo davvero darci la possibilità di cambiare le cose. Osiamo!

Perchè, come mi ha detto una volta un mio amico: <A’ Francè, queste nun so’ le prove generali…Questo è lo spettacolo>.

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