Siamo a casa. In Quaresima ed in quarantena.
La Quaresima è, per il Cattolicesimo, tempo di grazia, tempo di riflessione, di penitenza, tempo in cui facciamo i conti con noi stessi, bilanci più o meno scomodi, rinunce e fioretti vari.
Chissà se è un caso che il Covid-19 – che sembra il nome di una missione nello spazio – sia arrivato proprio in questo periodo dell’anno.
Si dice e si scrive di tutto, chiunque ha qualcosa da dire: politici, giornalisti, parrucchieri, edicolanti, panettieri, cantanti, artisti di ogni genere, si lanciano in appelli sul web, dirette Instagram, raccolte fondi, hashtag infiniti.
E noi, chiusi nelle nostre case con i membri più stretti della famiglia, ci spostiamo da una stanza all’altra usando la mascherina, non possiamo più baciarci né tenerci per mano, figuriamoci fare l’amore.
Poi ci sono i ‘fenomeni’, quelli che io-me-ne-frego-tanto-non-succede-niente, quelli che riempiono i locali delle movide varie ed – essendo scuole e università chiuse – se ne vanno in giro più di prima perché di fatto vivono tutto questo come una inattesa vacanza.
E tutti giù a criticarli, a dire <brutti idioti statevene a casa>, ad insultarli come se fossero la feccia dell’umanità.
Ma una considerazione a mio avviso va fatta: siamo stati un po’ tutti, in Italia almeno, ‘fenomeni’ nel senso predetto: anzitutto perché nessuno di noi si aspettava che la situazione potesse evolversi e degenerare in questo modo; e poi perché siamo abituati a non rispettare le regole, abbiamo una classe politica che semplicemente non-ce-la-fa ed interveniamo sempre e solo quando la frittata è fatta.
Perché se fin dall’inizio si fosse rimasti in controllato isolamento invece che popolare piste da sci e tornarcene a casa dai ‘parenti di giù’, ma fin dai primi giorni proprio, ora non saremmo in questa situazione.
Io vivo a Londra: qui l’emergenza non sembra ancora da zona rossa come in Italia e credo per due motivi fondamentali: 1. se qua ti dicono <se hai sintomi, stai a casa>, la gente tendenzialmente lo fa; 2. non stanno facendo un uso indiscriminato dei tamponi (come in Italia), neppure a chi ha sintomi (e questo é sbagliato), non so se per contenere l’esplosione mediatica ed il panico che ne deriverebbe.
Anche qui molte compagnie stanno obbligando i propri dipendenti a lavorare da casa con il c.d. smart working, un lusso non per tutti: di certo non può farlo chi lavora da Costa Coffee o Pret a Manger: che fanno, ti fanno un caffe in remoto?
E secondo me anche la filosofia del Deliveroo in questa fase non ha molto senso: magari il delvery guy sta a un metro di distanza da te quando ti consegna il sacchetto, ma prima il cuoco o il pizzaiolo hanno starnutito mentre preparavano il tuo sushi o la tua pizza e quindi il risultato è che, se tu non vai dal Coronavirus, il Coronavirus te lo consegnano a domicilio, una furbata assoluta.
Nonostante che chi può stia a casa, tuttavia, non è proprio come i sedicenti influencers vogliono farci credere: <Approfittatene per vedere le vostre serie tv preferite o per leggere tanto! Dedicatevi alle vostre passioni! In fondo è come anticipare le ferie! E donate donate donate!>.
Questi signori che si mettono comodamente sulla poltrona di casa dietro allo schermo di un telefonino col trucco da star e la messa in piega appena fatta sponsorizzando shampoo per capelli o antitarme d’avanguardia, non fa differenza, ‘influenzano’ a loro modo.
Magari in questo periodo avranno rinunciato alle serate mondane o a qualche viaggio; anche se – mi permetto di rilevare – la signora Ferragni fino a meno di una settimana fa era sulle Dolomiti con famiglia al seguito. Ora dice <donate, donate> ma uno, prima di donare, deve pensare a come fare ad arrivare alla fine del mese specialmente ora che si parla addirittura di ferie forzate o congedo non retribuito e l’economia sta andando a rotoli: pensate in particolare a chi ha esercizi commerciali o locali pubblici tipo bar e ristoranti.
Ma si chiedono quale sia la quotidianità delle persone normali?
E’ una quotidianità fatta di impegni, di figli più o meno piccoli che devono passare la giornata chiusi in casa con valanghe di compiti di fare che le maestre inoltrano con foto rudimentali inviate via whatsapp perché il nostro Paese non è neppure attrezzato con lo smart learning; una quotidianità fatta di un lavoro normale che si può fare smart o forse no; e in questo secondo caso obbliga a recarsi sul posto nonostante l’emergenza assoluta e ad esporsi ogni giorno al rischio di contagio: per la serie io speriamo che me la cavo.
E’ una vita fatta di pasti da preparare, lavatrici da stendere, biancheria da stirare, casa da pulire e disinfettare varie volte al giorno; caccia all’Amuchina ed alle mascherine FFP2 introvabili o vendute a pezzi da capogiro perché gli sciacalli stanno ovunque; bollette e mutui da pagare; e sorrisi da regalare ai nostri bambini che non devono vederci musoni e tesi perché, nel momento in cui li mettiamo al mondo, ci impegniamo a garantire loro tutta la serenità possibile e questa cosa sicuramente non è colpa loro bensì nostra, che per l’ennesima volta abbiamo fallito come adulti, mostrandoci consapevolmente irresponsabili nel consegnare loro un mondo che letteralmente sta andando in malora.
Questa è la vita di tutti i giorni.
E se alcuni personaggi pubblici (non sto generalizzando – tengo fuori ovviamente gli Artisti con la A maiuscola, quelli che praticano l’Arte) cercano di sensibilizzare il popolo, il gregge, le pecore (perché tali siamo visto che non capiamo le emergenze da soli ma per stare a casa abbiamo bisogno che ce lo venga a dire un cretino qualunque che c’ha ennemila followers su Instagram e non ha lavorato un giorno in vita sua), ben venga!
Ma sappiate che dopo la diretta Facebook e l’appello disperato, la vita di questa gente procede in maniera diversa dalla nostra.
E non voglio essere polemica, nè faccio un discorso comunista o politico: faccio un discorso umano, di coscienza di sè.
Prendiamo questo, davvero, come un tempo di riflessione su tutto: sulle nostre priorità, sui nostri obiettivi, su quanto davvero apprezziamo la nostra vita e su quanto teniamo alle persone che ne fanno parte, sui nostri errori (senza stare a guardare sempre e solo quelli degli altri), su ciò che non va bene ed è da cambiare, su quanto ci stiamo facendo male da soli perché – anche se vogliono venderci la cazzata del virus che viene dai pipistrelli – è chiaro trattarsi, invece, di una roba creata in laboratorio.
Riflettiamo e guardiamoci dentro, ascoltiamoci in questo tempo cosi ‘interno’ e personale; proviamo un attimo a disconnetterci da tutto quello che non serve ed a riconnetterci con noi stessi prima di tutto e poi con chi ci sta vicino, con o senza mascherina, ma facciamolo.
Viviamo il tempo reale del qui e ora, quello delle persone in carne ed ossa invece che il tempo virtuale dell’altrove-in-ogni-dove che poi si rivela essere nessun luogo da nessuna parte; prendiamo atto dell’isolamento globale a cui ci siamo ridotti e riappropriamoci di noi stessi nella dimensione spazio-temporale primaria e privata per eccellenza, la nostra casa. Viviamo le nostre stanze, fisiche ed interiori, fino in fondo, non perché in questo momento siamo obbligati a farlo ma perché fa bene proprio alla salute emotiva e mentale.
Poi, se tra una lavatrice e l’altra abbiamo venti minuti da dedicare a noi stessi, magari quando i bambini sono a letto, leggiamo anche un bel libro o guardiamoci un bel film di quelli di Vittorio De Sica o di Federico Fellini per esempio, che non fanno moda come le serie TV ma almeno non parlano di cose surreali e ci raccontano un po’ del nostro Bel Paese quando ancora non eravamo nati e chi c’era prima di noi ne aveva davvero cura e rispetto perché arrivava da due guerre e da una storia di fame e di morte.
Informiamoci senza panicare.
Pensiamo chi votare quando tutta questa storia finirà; magari non quelli del Grande Fratello.
Rispettiamo le regole, nell’interesse di tutti.
E portiamo pazienza perché non sappiamo quanto tutto questo durerà. Cerchiamo soltanto di uscirne più forti e più presenti a noi stessi: questo potrebbe essere, in tutto il casino, il vero atto d’amore.
Dopo L’amore ai tempi di colera, che sia l’amore ai tempi del Corona.
#IN-CORON(i)-AMO-ci
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