#10 – Di decolorazione, vino rosso ed altre storie

Quante di noi sono nate brune e, ad un certo punto della vita, generalmente nel periodo dell’adolescenza, hanno deciso di diventare bionde?

Forse perché nell’immaginario collettivo ci hanno inculcato che “gli uomini preferiscono le bionde”, come dice il titolo del famoso film.

E come fai tu che da piccola avevi i capelli nero corvino, nero-riso-venere, magari crespi e spessissimi quasi rasta (citazione autobiografica), tu che non hai neppure un trisavolo anche solo castano chiaro, a farti improvvisamente bionda?

Semplice: ti fai la de-co-lo-ra-zio-ne!

Cioè bruci con l’ossigeno i tuoi capelli, praticamente li incenerisci così che perdano il colore e ci si possa ri-colorare qualsiasi altra cosa sopra.

Un po’ come la candeggina che lava via le macchie impossibili e tutto torna talmente bianco da diventare quasi fluo (che poi dopo due o tre lavaggi gli indumenti in questione siano da buttare, quello è un altro discorso che però basterebbe a far riflettere).

Ricapitolando: ci ossigeniamo i capelli per farli di un colore che magari potrebbe renderci più attraenti, diamo fuoco al nostro patrimonio genetico rifiutando di essere chi siamo e trasformandoci in qualcun altro: un non-accettarsi per ciò che si è, un cambio di identità a tutti gli effetti quasi come falsificare un documento; e poi succede che ti fermano e ti chiedono la patente ed il poliziotto continua a guardare la foto sul documento…, poi te, poi di nuovo la foto, poi di nuovo te…perché di fatto tu e quella della foto non siete la stessa persona. 

Nella foto avevi diciotto anni, i capelli folti di un volume senza proporzioni ma soprattutto neri come la carbonella che si usa per gli arrosti; adesso, oltre ad avere vent’anni in più, hai i capelli lisci e disciplinati in un bob destrutturato che fa tanto chic e soprattutto biondo cenere perché prima li hai inceneriti e poi li hai tinti di giallo ma poco, per non esagerare, nel caso venissero di nuovo troppo scuri.

A me non succede per vari motivi: 1) ho preso la patente a ventinove anni (e solo perché mi hanno obbligata a farlo); 2) non guido in Italia, figuriamoci a Londra che qua si guida pure a destra; e soprattutto 3) sono sempre rimasta scura, una mora convinta e consapevole.

Detto questo, ho realizzato tuttavia che la decolorazione non avviene necessariamente sui capelli o comunque sotto forma di fenomeno chimico: può accadere infatti che, a un certo punto della vita, ci si ritrovi àcromede-colorate cioè prive (o private, derubate) del colore; che non è lo stadio del prima-del-colore: solo l’acqua, infatti, è trasparente; ma è uno stato di privazione, di perdita di cui molto spesso non ci rendiamo conto. 

O forse a un certo punto sì.

Per esempio, a me è successa una cosa bizzarra.

Io ho iniziato a bere sia il caffè che il vino che ero già all’università; soprattutto il vino, così tardi, per una che viene dalla terra del (e dei!) Negroamaro, suona un po’ strano. 

Tuttavia, da subito ho capito che mi piaceva il vino rosso, non so se per una questione di puro gusto, per la consistenza forte e decisa ma allo stesso tempo morbida e vellutata; o anche per affinità di colore con quello dei miei capelli, per ragioni di armocromìa, insomma.

Il vino rosso è corposo, massaggia l’anima, impasta le parole, scioglie i baci, esalta i sapori, colora e macchia, si vede, è una presenza decisa ed indiscreta che vuole essere percepita. 

Un buon rosso parte dai tredici gradi e mezzo almeno: tende ad ubriacare, è figlio di Bacco e dell’autunno e sposo delle sere d’inverno, di caminetti accesi e fuochi vari. 

Il vino rosso è uno stile di vita, è l’abito da sera dei calici del servizio buono e si deve lasciar respirare perché il sapore diventi perfettamente “rotondo” e prenda forma. 

Il vino rosso è una frase di senso compiuto ma anche, da solo, un punto esclamativo.

E’ un’opera suonata alla Scala e, al contempo, un quartetto jazz nel Village a New York

Il vino rosso racconta molto della persona che lo beve perché i due si assomigliano. E il vino rosso – sempre quello buono – è leale e sincero, quando scende si fa sentire, è fedele e non dà mai i mal di testa, è seducente e penetra nella pelle delle labbra rendendola di qualche tonalità più scura come un rossetto di quelli matti.

Insomma, io e il vino rosso, una relazione lunga circa quattordici anni…finché un bel giornohanno iniziato ad offrirmi sempre più spesso i vini bianchi: “Senti com’è buono questo frizzantino, va giù che nemmeno te ne accorgi!” E ancora: “Prova questo bianco fruttato, senti come rimane fresco e come scivola bene su tutto?”.

E quindi mi sono ritrovata a pasteggiare a vino bianco, ad aperitivare a vino bianco, a convincermi che preferivo il gusto debole e leggero ed i bicchieri senza colore (oltre a convincermi di un sacco di altre cose).

E’ durato anni, cinque lunghi anni: niente, il vino rosso proprio non riuscivo più a berlo, mi sembrava troppo pesante…preferivo i prosecchi e le falanghine, i pinot grigio e gli chardonnay fingendomi anche intenditrice: “Mi piace secco, fermo e non fruttato” – ripetevo spesso dandomi un tono. 

E intanto i miei toni svanivano progressivamente, avevo candeggiato le mie papille gustative, stavo ossigenando la mia personalità (non nel senso di darle ossigeno ma di incenerirla), avevo cambiato colore diventando incolore, ero diventata vigliacca nei confronti di me stessa, come il vino che bevevo: perché il bianco è un vino vigliacco, che ubriaca senza dirlo, fingendo di essere ciò che non è e di star bene su tutto, un vino senza identità; e a volte sa essere così  cattivo che i suoi mal di testa sono i peggiori.

La rimozione del vino rosso dalla mia vita aveva rimosso una parte della mia coscienza, mi aveva decolorato l’anima.

In fin dei conti, a togliere colore, da qualche parte si comincia sempre: che sia dai capelli o dal vino, cambia poco. E’ sintomatico di una mutazione in atto che probabilmente subiamo e che attinge a qualcosa di più profondo.

Poi a un certo punto mi è capitato di dovermi fermare ad uno Stop e di colpo molte cose sono cambiate: prima di tutto la prospettiva; e da quella nuova in cui mi sono collocata (che poi era la mia prospettiva originaria), ho visto che tante altre cose ancora erano da cambiare e alcune addirittura da rimuovere. Ed ho rimosso.

E giuro che non so come né perché, ma senza rendermene conto, ieri sera ho realizzato che sono circa due mesi che, quando mi capita di bere un bicchiere, oramai è sempre e solo rosso e scuro, come i miei capelli che non ho mai decolorato perché mi sono sempre piaciuta cosi.

Ci sono distrazioni, ci sono parentesi, ci sono decolorazioni ed altre storie. 

Ci sono le bionde e ci sono le more.

C’è il vino bianco e poi c’è il vino rosso: tu dimmi cosa bevi, e ti dirò chi sei.

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