Io sono una con la fissa dei biglietti, dei concerti, degli spettacoli; e quindi, appena vengo a conoscenza di qualche evento che mi interessa, con metodo e pazienza:
- metto in calendario data e ora in cui i biglietti saranno in vendita e relativo sito di riferimento;
- nella data ed ora di cui sopra, mi piazzo con disciplina davanti allo schermo del pc con largo anticipo e comincio a fare-la-fila-on-line ricevendo costante aggiornamento della mia posizione grazie al sistema che di minuto in minuto mi scrive frasi del tipo: “sei n. 1457 nella fila”; fino a quando arriva il mio turno e da lì, solitamente, scattano i canonici 8 minuti di tempo per perfezionare le operazioni di selezione del posto, acquisto biglietto, scelta modalità di consegna ritiro ecc. Mi sudano le ascelle al solo pensiero!
Accadeva a luglio scorso che…Oops…una mail del Southbank Centre mi informava (sì, perché ho dimenticato di premettere che sono registrata su tutte le newsletter della terra e quindi ricevo le notizie con un discreto anticipo sul resto del mondo comune) che Dame Julie Andrews (la signora Mary Poppins per intenderci), sarebbe stata in amabile conversazione con Alex Jennings (re Edoardo VIII in The Crown) sabato 2 novembre alla Royal Festival Hall per presentare la seconda parte della sua autobiografia, Home Work (la prima parte si chiamava Home – n.d.r.).
Appresa la notizia, con grande entusiasmo e diligenza, mi apprestavo dunque a seguire la procedura dianzi descritta e riuscivo ad accaparrarmi un biglietto alla modica cifra di £ 70.00.
Sabato scorso arriva, finalmente, il grande giorno!
Scappo di casa in mostruoso ritardo ed approdata – sudata come un cavallo – nel bellissimo auditorium locato lungo il Tamigi, una volta in coda al ritiro biglietti, apprendo che nell’acquisto di ogni biglietto era già compresa anche una copia del libro – che io invece, avevo con eccessiva proattività, acquistato su Amazon…quindi ora ne ho due…ma lasciamo perdere.
Perciò, ricapitolando: biglietto preso, secondo libro…anche. Posto, trovato. Sciarpa? Persa, forse lasciata nel bagno delle signore, resterò col dubbio.
Trovo il mio posto. Sono seduta.
Le luci si abbassano, la solita affascinante voce da maschio British e pronuncia con-la polpetta-in-bocca ricorda di tenere spenti i cellulari ed augura buon divertimento.
Sul maxi schermo parte un breve video che ripropone i punti salienti della carriera della Andrews in pochi minuti ed al termine passano pochi istanti ed eccoli qua: Mr Jennings e Mrs Andrews fanno insieme il loro ingresso sul palco a braccetto.
Lei elegantissima in un tailleur scuro, i capelli corti ed il viso ancora raggiante all’alba delle 84 primavere che ci sono ma non si vedono. Lui, con dei calzini questionabilissimi.
Li accogliamo con una standing ovation di qualche minuto e tantissima emozione.
Il palco tutto per loro: due poltrone al centro, una composizione di fiori (un po’ triste a dire il vero) su un tavolino ed, alle loro spalle, il maxi schermo che proietta l’intervista con i sottotitoli in tempo reale.
Dopo un breve scambio di battute, Mrs Andrews inizia il suo racconto sollecitato e solleticato dalle domande di Jennings; e parte da quando la piccola Julie from Walton upon Thames – Surrey, a soli 7 anni, inizia a cantare per due motivi fondamentali: 1) la sua scuola era stata distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, quindi il canto era un modo per tenerla impegnata; 2) il canto aveva inoltre lo scopo di avvicinarla al suo patrigno (un tenore canadese di cui la madre si era innamorata lasciando il primo marito e padre putativo della bambina, pretendendo altresì che quest’ultima prendesse il cognome dello stesso patrigno) con cui Julie non aveva un gran rapporto.
Il panorama famigliare risulta da subito alquanto frastagliato: un patrigno alcolizzato, madre semi alcolizzata anche lei, vari fratellastri e sorellastre da parte di entrambi i genitori.
La costante tuttavia è la musica: madre pianista, zia insegnante di danza, patrigno tenore: la piccola Julie respira musica sin da piccolissima e si rivela immediatamente un prodigio fuori dal comune per cui si decide di farle prendere lezioni di canto dalla maestra del patrigno, Madame Lilian Stiles-Allen, per affinare ulteriormente il talento; un talento che le consente di sobbarcarsi, sin da ragazzina, il peso economico (oltre che morale) della famiglia.
Julie studia canto, Julie copre con la voce otto ottave, Julie va in tour con madre e patrigno e poi anche da sola, Julie canta a al London Palladium davanti alle Loro Maestà Re Giorgio VI e moglie, Julie si sente sola, Julie è triste, Julie dice che all’epoca non le piace neanche cantare ma lo fa perchè alla sua famiglia servono soldi. Julie a 12 anni lavora già da professionista.
Julie si innamora di Tony Walton, suo vicino di casa, che poi diventerà suo marito.
Julie va a Broadway (e anche se qui la faccio semplice, per lei non lo fu per niente perché soffriva tantissimo la lontananza da casa ed era estremamente preoccupata per le difficoltà – non solo economiche – in cui versava la sua famiglia); e qui interpreta Eliza Doolittle in My Fair Lady e comincia a divertirsi.
Julie recita poi in Camelot con Richard Burton ed è qui che Mr Disney la nota ed una sera, dopo lo spettacolo, va a trovarla in camerino e boom, le propone di andare ad Hollywood ad interpretare la protagonista di un film di animazione con tecniche all’avanguardia per il quale lei sarebbe stata perfetta, una tata speciale di nome Mary Poppins ispirata dai racconti della scrittrice P.L. Travers.
Julie risponde che ne sarebbe onorata ma purtroppo ha da poco scoperto di essere incinta e Mr Disney risponde serafico: “non c’è problema, possiamo aspettare”. E poi rivolgendosi a Tony, marito di Julie, gli chiede: “E tu, ragazzo, cosa fai nella vita?”. Tony risponde che lui è un set and costumes designer e allora “Mr Disney, noto per la sua fantastica abilità a scovare talenti” (cit J. Andrews) gli dice così, dal nulla:“bene, porta con te il tuo portfolio”.
Ed è in questo momento – che Mrs Andrews definisce uno dei momenti indimenticabili della sua vita – che la giovane Julie pronuncia per la prima volta il suo mantra: “Are we lucky or what?!”
Così questi due ragazzi del Surrey, appena tre mesi dopo la nascita della loro figlia Emma, si ritrovano a Los Angeles, in un bellissimo cottage con piscina arredato per loro in stile inglese e curato nei minimi dettagli (oggi diremmo #suppliedby @Mr Disney), a dare vita ad un capolavoro: Tony finisce per disegnare tutti gli interni del set e tutti i costumi per la produzione di Mary Poppins, contribuendo in maniera determinante – come la stessa Andrews tiene a precisare – a delineare la personalità della protagonista; e Julie studia copioni, canzoni, coreografie, allatta la sua bambina dietro le quinte e nei weekend fa la moglie e mamma a tempo pieno.
Il racconto scorre fluido ed il pubblico – compresa la spettatrice in terza fila vestita da Mary Poppins! – ascolta attentissimo a non perdere neppure un dettaglio.
Mrs Andrews, nel suo inglese morbido e perfetto, trova il peso giusto da dare ad ogni parola in quella che sembra una conversazione informale, un tè tra amici. La voce è emozionata ma ferma e lei è un vulcano a riposo ma non spento…è l’affermazione di sè, una donna pienamente realizzata, dotata di rara intelligenza ed ironia. E’ una che ti parla di Hollywood senza tirarsela, una che lavora da settantacinque anni e ancora non è stanca, una che ha talmente tanto da dire che le parole non le bastano e allora scrive anche libri e lo fa con la figlia Emma, co-autrice anche di Home Work (oltre che di altri trentadue libri, la maggior parte dei quali per bambini).
E proprio il titolo di questa seconda autobiografia non è causale: Home, Casa, è la costante nei titolo di entrambe le sue autobiografie perché è da casa che si parte, è da lì che ci si allontana ed è lì che si vuole tornare; e Work è il lavoro che ci allontana ma allo stesso tempo ci riporta a casa; e Casa e Lavoro, Home e Work, si innestano in una storia di vita di cui sono protagonisti assoluti.
Il racconto del periodo Mary Poppins ovviamente prende la maggior parte del tempo e quando Jennings – spalla preziosa e discreta – chiede a Mrs Andrews di pronunciare la famosissima parola Supercalifragilistic…….. Lei risponde risolutamente di no…e dopo un attimo di pausa prende tutti alla sprovvista pronunciandola al contrario e mandando in tilt anche i sottotitoli che si bloccano all’improvviso tra risate e applausi.
Mary Poppins (1694) incorona la Andrews a Hollywood: Oscar come miglior attrice; e poi Golden Globe, BAFTA…e collaborazioni con attori e registi importantissimi, da Jack Lemmon a Paul Newman ad Alfred Hitchcock.
Ma ancora la bambina prodigio del Surrey non è pienamente consapevole di ciò che le sta accadendo; infatti la Andrews confessa di aver sempre ritenuto di non aver effettivamente meritato l’Oscar ma di averlo considerato piuttosto un gesto di benvenuto, quasi una “carineria” di Hollywood nei suoi confronti, tanto da averlo tenuto in soffitta per moltissimi anni, con quel fare da “apologetic little girl thing” con cui saliva sul palco quando era una bambina.
Una certa euforia, tuttavia, la pervade e la sua forte personalità ed ironia spiccano anche in momenti solenni come quello in cui, alla consegna del Golden Globe per Mary Poppins, ringrazia Jack Warner per non averla scelta per il ruolo di protagonista nel film My Fair Lady (avendole preferito l’allora ben più famosa Audrey Hepburn, ciò che inizialmente l’aveva profondamente addolorata), perchè ciò le aveva consentito di essere professionalmente libera per accettare il ruolo di Mary Poppins.
Il pubblico ride, applaude, grida “we love you” e si emoziona.
Julie ricambia di cuore, ride, risponde “anche io vi voglio bene…e se sapeste quanto, vi assicuro che ne sareste molto felici”.
…E si emoziona, soprattutto quando parla di Blake (Edwards, il grande regista), suo secondo marito per 41 anni, quello che lei definisce “my Blakie” con la voce rotta e gli occhi lucidi, il suo grande amore, partner sia nella vita che nel lavoro, un uomo “fantastico” che soprattutto la “faceva ridere tanto“, un uomo profondo e problematico, un uomo di cui sente tantissimo la mancanza e col quale ha adottato due bambine del Vietnam e partecipato attivamente al sostegno della charity Operation USA (un’organizzazione umanitaria senza scopo di lucro dedicata ad aiutare le comunità ad alleviare gli effetti di disastri, malattie e povertà endemica in tutto il mondo fornendo aiuti, ricostruzione, aiuti umanitari e sviluppo finanziati mediante aiuti privati, organizzazione che ha ricevuto il Nobel per la Pace nel 1997 partecipando alla campagna internazionale per vietare le mine antiuomo).
L’atmosfera ritorna poi nuovamente frizzante grazie alla partecipazione attiva del pubblico che, per tutta la durata dell’incontro, ha la possibilità di inviare le proprie domande formulate su cartoncini consegnati all’ingresso che vengono letti a caso. Una di queste in particolare chiede: come sarebbe cresciuto Trump con una tata come Mary Poppins? La Andrews risponde che sicuramente “lo avrebbe messo in riga! Se solo potessimo provare…”.
Ed all’ultima domanda della serata in cui una mamma dice che la loro tata va via dopo 5 anni e chiede se Mary Poppins sarebbe disponibile, Mrs Andrews risponde con devastante ironia: ”Meglio che vada da Trump!”.
L’auditorium esplode in applausi e risate, di nuovo una standing ovation, quella finale; le luci si accendono e la sagoma snella e minuta di Dame Julie Andrews saluta con autentica dolcezza e lascia il palco…con quella leggerezza eterea con cui siamo abituati a vedere Mary Poppins attraversare i cieli.
Io mi sento pervasa da una montagna di emozioni e vorrei talmente tanto raccontare ciò che mi è stato raccontato che non so da dove cominciare!
Torno a casa, esplodo di parole, abbraccio mia figlia e sul divano ci mettiamo a guardare Mary Poppins ed il mio film preferito mi sembra più bello che mai…E penso che appena lei sarà più grande le racconterò che ho incontrato Mary Poppins, quella vera…e tutto quello che mi ha raccontato…che dire…Am I lucky…or what?!
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